Chiesa di San Vincenzo

fotografie pubblicate per gentile concessione di Alessandro Fiocchi – www.fotofiocchi.it

Il cardinal Alessandro d’Este nel 1617 pose la prima pietra della chiesa di San Vincenzo, a favore di quei Padri Teatini che lo stesso Cardinale aveva introdotto a Modena. Il collegamento con Roma, da cui l’Ordine proveniva, era quanto mai esplicito riguardo all’attuale progetto che si richiamava espressamente alla chiesa romana di Santa Maria della Valle, costruita dall’Ordine pochi decenni prima. Fu soprattutto con il duca Francesco I d’Este, a partire dal quarto decennio del Seicento, che si decise l’attuale fisionomia della fabbrica, ricca di decori e rivestimenti preziosi al fine di renderla una delle più suntuose architetture barocche della città. Il fine era duplice: venire incontro alle istanze dei Teatini e del Cardinale ma anche dimostrare al mondo il profondo spirito religioso che ispirava il sovrano. Furono coinvolti i più importati artisti ducali, impegnati nei vari cantieri estensi. Quando l’architetto romano Bartolomeo Avanzini, supportato dall’ingegnere di Corte Gaspare Vigarani, fu incaricato dell’opera, l’impianto strutturale era già stato definito: una semplice croce latina ad una sola navata, affiancata da due file di cappelle e conclusa da transetto e profonda aula absidale. La cupola copriva la zona presbiteriale. Piuttosto tozza nelle sue proporzioni causa i ristretti spazi che andò a ricoprire in sostituzione di una chiesa più antica abbattuta per l’occasione, fu necessario valorizzarla attraverso un ricco apparato decorativo che sapesse al contempo sottolineare gli ingranaggi costruttivi sottesi (costoloni, paraste, lesene ecc.). Ricche forme plastiche e affreschi coprirono le nude pareti con un effetto finale di grande suggestione per il riguardante che veniva coinvolto emotivamente, scopo di ogni vera “macchina barocca”. L’ambizioso progetto, gli enormi costi da sostenere, dilatarono la costruzione per oltre un secolo: fu solo nel 1759 che si giunse, con l’erezione della facciata progettata dall’architetto fiorentino Gaspare Paoletti, a considerare concluso l’edificio in ogni sua parte. Durante la seconda guerra mondiale, nel 1944, la chiesa fu bombardata perdendo così la cupola insieme a gran parte dell’abside. La ricostruzione, rispettosa delle normative sul restauro di un bene culturale, fu portata a buon fine negli anni Cinquanta. Affreschi e tabernacoloL’insieme pittorico della volta a botte che copre la navata, fu dedicato dai Teatini, secondo una precisa iconografia, all’esaltazione dell’Ordine con la rappresentazione dei fatti più emblematici della vita di San Gaetano di Thiene e la sua glorificazione, sequenza di immagini che si concludeva con “La gloria di San Vincenzo” dipinta nella cupola. La data degli stessi dovevano seguire la proclamazione a Santo del Teatino fondatore dell’Ordine avvenuta nel 1671, e la loro esecuzione è oggi ritenuta opera del pittore Sigismondo Caula. Il tabernacolo doveva costituire il punto focale prospettico, spirituale ma anche politico del complesso discorso visivo. Si tratta di una vera e propria architettura, un piccolo tempio di cinque metri di altezza che svetta sopra l’altar maggiore. La sua evidenza architettonica è contraddetta dalla ricchezza barocca degli ornati, marmi policromi, pietre dure, sculture, che lo trasformano in un gigantesco e prezioso monile. Isabella di Savoia, madre del duca Francesco I, nel suo testamento espresse la volontà di essere seppellita nella cappella maggiore (1626). Il figlio realizzerà tale desiderio interessandosi in prima persona del progetto della cappella, non solo a dimostrazione di affetto filiale ma anche perché si trattava di una ottima occasione per esaltare la Casata d’Este che tanto aveva fatto (e speso) per l’erigenda fabbrica. L’ideazione e l’esecuzione fu affidata all’ Avanzini e allo scultore Tommaso Loraghi. L’ esaltazione della pietas della famiglia regnante fu testimoniata dalle figure dei due Santi: S. Amedeo di Savoia e S. Contardo d’Este insieme ai due stemmi familiari posti sul fronte (oggi mancanti). Con il ritorno degli Austria D’Este, a seguito della Restaurazione, uno dei primi pensieri del nuovo sovrano, Francesco IV, fu quello di far tornare la chiesa al primitivo splendore, restaurandone gli affreschi e i dipinti. e incaricando l’architetto Francesco Vandelli di costruire una cappella funeraria che avesse potuto accogliere le spoglie mortali dei suoi congiunti, ove lui stesso si fece deporre nel 1846.Giovan Francesco Barbieri, detto “Il Guercino”: Pala della “Madonna in trono con San Giovanni Evangelista e San Gregorio Taumaturgo”.Gli altari delle sei cappelle che si affacciavano nella navata centrale furono commissionati dalle famiglie nobiliari facenti parte della corte ducale: Rangoni, Corti, Forni, Calori sono alcuni dei nomi a cui era stato conferito il patronato di quelle cappelle, riccamente decorate con l’ausilio di artisti impegnati nei cantieri ducali.Certamente la cappella che attirava massimamente l’attenzione era la prima a sinistra in cui campeggiava l’enorme pala della “Madonna in trono con San Giovanni Evangelista e San Gregorio Taumaturgo” con personaggi a grandezza naturale che, sembravano inscenare una “sacra rappresentazione”. L’autore era Giovan Francesco Barbieri detto Guercino (Cento 1591 – Bologna 1666) ormai artista di fama: la sua fortuna era iniziata con la salita al soglio pontificio di Gregorio XV, al secolo Alessandro Ludovisi, arcivescovo di Bologna e munifico protettore delle arti. Il Papa chiamò al suo seguito i migliori pittori emiliani e tra questi anche Guercino. L’esperienza fu fondamentale per lui perché lo mise in contatto con i più famosi pittori bolognesi del momento, da Reni al Domenichino, avvicinandolo alle teorie estetiche di quella temperie artistico-culturale favorevoli ad attenuare i “moti” più drammatici dell’anima a favore di espressioni più decantate e monumentali, secondo antichi parametri classici. La nuova maniera guercinesca si appalesò attraverso prestigiose commissioni papali. Il pontificato Ludovisi durò solo due anni (1621- 1623) : perduto il proprio mecenate, Guercino insieme a tutta la scuola emiliana fu costretto ad abbandonare la capitale. Se pur richiesto dalle più importanti Corti europee, Giovan Francesco resta a Cento dove organizzerà una bottega sempre più importante e numerosa per portare avanti le numerosissime commissioni che arrivavano un po’ dappertutto. Modena diventerà una città battuta dal Centese, grazie alle opere a lui richieste soprattutto dal duca Francesco I del quale diventò, oltre che pittore di Corte, amico sincero. Tuttavia, la commissione della grande pala di San Vincenzo fu antecedente a quegli anni, e si deve al padre di Francesco, Alfonso III d’Este nel brevissimo tempo che regnò sul Ducato (dicembre 1628 – luglio 1629). Sembra che la spinta a fare eseguire un’opera così ambiziosa avesse la valenza di un “ex voto” a seguito dallo scampato pericolo ad una grave malattia ma anche per onorare la memoria di sua moglie, Isabella di Savoia che tanto aveva fatto per l’edificazione della chiesa. Il dipinto fu completato nel 1630 ed esposto nella Cappella Ducale, dedicata a San Gregorio Taumaturgo, santo particolarmente amato dagli Este per i numerosi miracoli compiuti: era l’anno della terribile pestilenza magnificamente descritta dal Manzoni nei Promessi Sposi, e questa immagine imponente, con le Sante figure ribaltate quasi nello spazio reale dello spettatore, sembrò un incitamento alla speranza dell’aiuto divino e un conforto contro tale calamità. Vicina all’esperienza romana, la pala denuncia il cambiamento repentino attuato dal Guercino della sua maniera: le figure si stagliano monumentali in primo piano, investite da una luce celeste che fa brillare il ricco mantello di San Gregorio e il morbido manto della Madonna. La prospettiva aerea non esiste, non vi è paesaggio ma solo un fondo brumoso, indefinito: è il risultato del confronto con il classicismo di Guido Reni. L’evento religioso si concentra su se stesso, il significato spirituale pregnante non può dar adito a distrazioni naturalistiche. La Madonna, seduta su un trono ligneo in mezzo alle nubi, guarda verso il basso ed indica San Gregorio. Vescovo di Neocesarea ( attuale Niksar -Turchia), Gregorio visse nel III secolo e fu venerato per l’opera di evangelizzazione e per i tanti miracoli compiuti, soprattutto contro i pericoli dovuti a eventi naturali, pestilenze e malattie. Fu autore del “Simbolo”, invocazione diretta alla SS. Trinità il cui testo in latino è riportato nel cartiglio sorretto da Giovanni, ispirato dall’apparizione della Madonna e San Giovanni Evangelista che lo istruirono sulla vera conoscenza dei dogmi della Fede. Il suo culto fu ripreso dai Teatini a Modena, già a partire dal 1613-1614. Il costo dell’opera fu di trecento ducatoni d’argento, una cifra altissima per l’epoca.

Giovanna Paolozzi Strozzi